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Prima, vera.

Raramente prendevo il treno. Ero solita fare la strada che da Monale portava ad Asti in bicicletta tutte le mattine e tutte le sere. Era bello, non c’era quasi asfalto, la ferrovia ti passava a fianco, come una sicurezza. Percorrevo tutti i giorni la stessa via, a volte dovevo andare veloce come il vento perché se no arrivavo in ritardo al lavoro, ma altre volte me la prendevo comoda e sulla strada, ai margini dei campi, incontravo le solite persone, le salutavo, a volte facevano un pezzo di strada con me, io con loro.
Ancora oggi ricordo gli odori della campagna in primavera, i prati che venivano tagliati, l’acqua sporca che riprendeva a scorrere nei canali, il primo lavoro nei campi. Sono cose che quando sei giovane dimentichi in fretta, perché hai tante cose più importanti a cui pensare; quando sei anziano ti accorgi che, ricordi sui quali non puntavi una lira, riescono ad essere molto più forti di altri, inizi a renderti conto di quali siano le cose che la mente, davvero, preferisce ricordare. Ancora oggi, d’autunno, quando passo per i viali a piedi, e calpesto quello strato di foglie attaccate a terra, alcune umide, altre più secche e rumorose, mi viene in mente tutto, mi viene in mente di quando avevo vent’anni e le foglie erano le stesse, la sensazione nel calpesatarle anche. Ecco, la memoria è strana.

In ogni caso quel giorno prendevo il treno. Sì, insomma, una via di mezzo. Ero andata in bicicletta fino a Baldichieri, dove passava la ferrovia, e poi in quella stazione aspettavo il treno per Asti. Soli venti minuti! Che lusso! Anziché pedalare per quasi un’ora potevo sedermi comoda su di un treno, non sporcami la bella veste da festa, non arrivare affaticata. Oggi l’avrei incontrato di nuovo, il mio amore, il mio amore come un cerbiatto, il mio amore occhio di castagna, il mio amore sigillo sul suo petto. E la primavera non aveva tocchi di tristezza, nessun presagio, nessuna masca poteva impaurire; solo aria vetrosa d’un giorno di brezza.

Nei pensieri belli e rilassati, sospesi, assorti, quasi inconsistenti, stavo passeggiando sulla banchina, il treno sarebbe arrivato da lì a pochi minuti. I roseti erano carichi e freschi, le rose tanto rosse da far venir voglia di regalarle. Nemmeno la guerra aveva impedito alle rose di continuare a fiorire, anche se pochi anni prima non avrei immaginato di poter dire lo stesso. In quel momento, invece, mi sembrava addirittura di possederne il profumo mentre forse, un profumo, non l’avevano.
Sovrappensiero, dimessa, appoggiata con la spalla ad un palo, una mano sulla borsa l’altra lungo il fianco, mi guardavo attorno senza pensieri che non fossero pensieri primaverili. Un uccellino si avvicinava a me, o meglio, ai cavi elettrici del treno. Pensai che certamente non si sarebbe posato lì. Anche se gli uccelli non sanno leggere i cartelli di “pericolo di morte” certamente sapranno distinguere un buon posto per riposarsi da uno cattivo. La natura è amica, lascia il buon senso nelle mani dell’istinto. Altrimenti perché le rose dovrebbero essere fiorite? Perché nell’aria ci dovrebbe essere questo odore di campagna?
In quella frazione di secondo che i miei pensieri occuparono, il passerotto si stava posando proprio sul cavo. Eppure... Durò meno dei miei ragionamenti, meno dei miei sentimenti: una piccola scintilla diffusa su tutto il corpo dell’animaletto, un piccolo filo di fumo, e poi l’uccello cadeva rigido e scuro sulle pietre in mezzo alle rotaie.

martedì 8 giugno 2010

2 responses to Prima, vera.

  1. Anonimo says:

    mi hai fatto percorrere un po' le mie strade...grazie.pal

  2. Una strada spesso ne vale un'altra, come un simbolo che racchiude molte interpretazioni. E' per questo che le strade mi sembrano un buon universale. Le strade e il mare.