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Odiavo che mi tagliassero le unghie, quando ero bambina. In più, con le forbici! Io amo il taglia-unghie, le forbici le assimilo ad uno strumento di tortura, ho sempre avuto paura che mi tagliassero via un dito, insieme all'unghia. Il compito era riservato a mio padre, perché lui sì che aveva delle belle mani, a mio avviso. Non volevo che fosse mamma, mamma porta gli occhiali, quindi sicuramente non ci vede bene e poi mi taglia il famoso dito. Mia mamma usa le forbici, mio papà il taglia-unghie.
Oggi grazie a dio mi taglio le unghie da sola, mi piacciono le mie mani, le trovo belle con le unghie corte perché mi sanno di praticità, di una mano che in ogni momento è pronta non solo a sfogliare pagine ma anche a lavorare, nel caso ce ne sia bisogno.
Quando mi taglio le unghie, una a una, ad ogni dito penso che oggi me le farei tagliare da mia mamma. Forse crescendo ho imparato ad avere fiducia in lei, glielo lascerei fare anche con le forbici.
Vorrei tornare bambina. Vorrei mettermi al riparo dal dolore, dalla comprensione, dalla consapevolezza che non c'è un fondo alla fine del tunnel, che non c'è un limite allo spazio, che non c'è un destino ma che poi alla fine il destino è uguale per tutti.
L'adolescenza è un momento sbagliato in cui si comprendono tante cose e non se ne comprende nessuna; quando si è ormai cresciuti invece si capisce che questo è un mondo largamente imperfetto, si ha voglia di arretrare, ancora un po' più in là, e finire direttamente a quando si andava alla scuola elementare, con quel grembiule che non ti faceva preoccupare di cosa metterti la mattina, che ogni tanto dimenticavo le scarpe e andavo in pantofole e poi me ne accorgevo una volta a scuola, piangevo e facevo telefonare a casa a mia mamma per farmi dire che andava bene anche così, anche in ciabatte, di non preoccuparmi.
Avevo le camicie bianche e i maglioncini fatti a mano e poi ricamati. Avevo le mani con le chiazze di inchiostro perché volevo a tutti i costi usare la stilografica. Uscivo alle 12.30 e andavo a mangiare dalla nonna, poi dormivo un po' al pomeriggio e quando mi alzavo guardavo i cartoni animati, obbligando mio nonno a farlo insieme a me.
Basta, non avevo altro e avevo tutto il desiderabile.

Oggi sono allo scoperto. Devo scegliere, viaggiare, cambiare, abitare, vestirmi, cucinarmi, scegliere cosa fare la sera, decidere come e se amare, telefonare a casa, tornare a casa. Affrontare l'imprevisto. Essere sempre pronta un giorno, non esserlo mai in quello dopo. Cercare un lavoro, guardare passare le nuvole. Scegliere, ma non scegliere di essere allo scoperto. Ma fin est mon commencement et mon commencement ma fin. E nonostante io scelga, spesso non sono contenta, perché c'è quell'imprevisto che si infila sempre di mezzo.

Poi tutto d'un tratto, mentre mi guardavo le mani questa mattina pensando di tornare bambina, ho pensato che è meglio che il futuro ci preservi dai nostri desideri: un mondo perfetto sarebbe l'incubo dell'uomo solo, dal momento che la perfezione si realizza in maniera del tutto personale.
E non c'entrava per nulla, ma del resto... O forse sì.

giovedì 22 novembre 2012